Ferrari informa n° 2009/4

FerrarInforma 2009

 

 

Sedie vuote

 

 

Avvicinare la storia degli anni di piombo attraverso il dialogo con i familiari delle vittime, mettendo a fuoco i principali avvenimenti di quel periodo – dal dopoguerra fino agli anni Ottanta –, cercando di comprendere le radici ideologiche di uno scontro che dopo la strage di piazza Fontana ha assunto contorni drammatici in Italia. È partita da qui la “fatica” di un gruppo di 30 giovani studenti delle scuole superiori e dell’Università di Trento che hanno raccolto gli intensi dialoghi con i familiari delle vittime del terrorismo nel libro «Sedie Vuote. Gli anni di piombo: dalla parte delle vittime», presentato a Modena lo scorso 26 novembre 2009 durante il salotto del Centro culturale Francesco Luigi Ferrari.

Erano presenti all’iniziativa: Manlio Milani, testimone, presidente dell’Associazione familiari dei caduti di piazza della Loggia,  Alberto Conci curatore del volume ed i giovani, protagonisti dei dialoghi, Anna Brugnolli, Matteo Conci, Valeria Manzaniello e Natalina Mosna.

 

«Accanto alla fatica di pervenire a una ricostruzione storica certa dei fatti – spiegano i giovani studenti – i dialoghi con i testimoni hanno messo in luce il problema della mancanza nel nostro Paese di luoghi e simboli che siano riconosciuti da tutti e capaci di alimentare proprio la memoria collettiva. (…) Questi dialoghi ci hanno portato a riflettere sulle conseguenze devastanti delle giustificazioni ideologiche della violenza, che conducono a perdere di vista il valore della vita umana, della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali, riducendo le persone a simboli da colpire». In questo cammino è stato fondamentale il contatto diretto con le persone (il libro, infatti, contiene le testimonianze di Mario Calabresi, Benedetta Tobagi, Silvia Giralucci, Manlio Milani, Giovanni Ricci, Alfredo Bazoli, Agnese Moro, Giovanni Bachelet, Vittorio Bosio e Sabina Rossa). «Condividere storie tanto importanti e dolorose – continuano i curatori di “Sedie Vuote” –, incontrare gli sguardi e i volti di quanti hanno dovuto convivere con l’esperienza di una sedia rimasta vuota, vivere i momenti di commozione o gli spazi di silenzio, vedere da vicino le lettere, gli appunti, le immagini di coloro che non si sono più ci ha aiutato ad avvicinare la quotidianità delle vittime e a ricordarle non solo per come sono state uccise, ma soprattutto per le relazioni che hanno intessuto e per ciò che hanno compiuto nella loro vita».

 

Toccante è stata la testimonianza di Manlio Milani. Nato a Brescia nel 1938 da una famiglia di origine popolare; dipendente dell’azienda municipale di Brescia, nel 1959 s’iscrive al Pci e diviene rappresentante della Cgil; fonda il gruppo culturale Antonio Banfi e collabora con il Circolo del cinema; nel 1965 sposa Livia Bottardi, uccisa da una bomba nella strage di piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1975. Dopo la strage, Milani si dedica alla ricerca delle ragioni della strage e promuove iniziative volte a conservarne la memoria.

Questo lavoro di ricostruzione degli eventi e di coinvolgimento dei testimoni fatto questi ragazzi, ha riferito Manlio Milani «ci ha costretti a ripensare al senso della perdita; abbiamo imparato molto, abbiamo imparato la necessità di uscire noi stessi dalla nostra condizione, nella quale in qualche modo rimaniamo prigionieri. In qualche modo noi richiamo di rimanere prigionieri di un episodio».

Gli anni ’70 – secondo il testimone – rischiano di essere ricordati e rappresentati soltanto come «anni di violenze». «È un errore madornale, che ha inciso nel modo di essere di questa democrazia. In realtà quelli sono stati anni di grande e straordinaria esperienza di partecipazione a tutti i livelli: sono nate, per esempio, le Regioni, l’obiezione di coscienza, lo statuto dei lavoratori, lo studio considerato come un diritto… La politica, però, non è stata all’altezza della domanda di partecipazione che veniva anche dal basso». Quattro sono i soggetti protagonisti dei fatti della strage: lo Stato, i colpevoli che spesso sono rimasti impuniti, le vittime e l’opinione pubblica. «Se è vero che le stragi rimangono impunite – ha detto Milani – è perché c’è una responsabilità precisa di impedire processi di cambiamento». Diversi sono i “misteri” che ancora impediscono la chiusura del processo per la strage di piazza della Loggia, con la condanna dei colpevoli, anche perché durante gli anni si è cercato di presentare i fatti in maniera distorta. «In realtà – ha spiegato ancora Milani – conosciamo molto sul piano politico. Per esempio sappiamo che a quel tempo c’era un’incredibile disponibilità di armi da parte di gruppi di civili; in Italia c’era una sovrabbondanza di campi militari segreti; è stata confermata l’ascrivibilità delle stragi ai movimenti della destra; è stato descritto un rapporto, un connubio tra i gruppi che eseguivano le stragi e alcuni uomini dello Stato».

Il tempo che è trascorso senza alcun processo, sta «giocando un ruolo decisivo». Infatti, secondo il marito di Livia Bottardi «molti testimoni non ricordano nulla, ma molti ancora (magari quelli legati in qualche modo ai servizi segreti che sono ora in pensione) affermano che non possono dire nulla su quei fatti. Per non parlare delle vere e proprie minacce che alcuni testimoni hanno subito e della solidarietà che si vede tra gruppi di destra. Questa “impunità” fa dire ai testimoni “chi ce lo fa fare?”. L’opinione pubblica non sa nulla di quello che succede del processo in corso su piazza della Loggia, perché se ne occupano soltanto i quotidiani locali. La nostra è una democrazia che subisce ancora forme di ricatto, come dimostrano i fatti di oggi».

Milani però non ci sta a gettarsi nello sconforto, per questo continua a credere nella verità e nel valore della testimonianza da tramandare anche alle giovani generazioni.

«Se facciamo la somma algebrica di quegli anni – ha spiegato – possiamo dire che la democrazia di questo paese ha vinto, perché è progredita. Anche se alle forme di cittadinanza di quel tempo e all’esigenza di una nuova politica non è stata data nessuna risposta. Le grandi manifestazioni di quel tempo hanno da un lato sconfitto il terrorismo di destra, ma non sono riuscite ad andare oltre. La politica degli “opposti estremismi” è stata nefasta per il nostro paese. Se allora c’era divisione ideologica, oggi c’è contrapposizione che nasce dall’idea che l’altro è un nemico. Ognuno deve imparare a badare a se stesso, fregandosene degli altri che ha accanto. In questi anni, grazie anche alla testimonianza che mi è stata chiesta, ho imparato a capire dove sbagliavamo: non capire gli enormi cambiamenti in atto in quel periodo».

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