Ferrari informa n° 2003/2

Il FerrarInforma

2/2003

 

 

«Dalla soggettività della politica alla politica della soggettività:

sono possibili nuove forme di politica?»

 

Lo scorso 17 gennaio è stato ospite del nostro centro il prof. Leonardo Benvenuti, docente di sociologia all’Università di Bologna.

 

Vorrei, in primo luogo, chiarire i perché del titolo, poiché esso gioca su una duplice prospettiva di analisi del termine di soggettività:

§         per soggettività della politica intendo quella particolare prospettiva che la individua in quanto ambito di attività umana e che non deve essere confusa con i campi vicini ma diversi della filosofia, delle scienze umane, ecc.: essa è indubbiamente caratterizzata dalla necessità della gestione della dimensione sovraindividuale delle nostre società;

§         ma con il termine di soggettività si intende anche una particolare forma di organizzazione dell’uomo nel lungo percorso della sua carriera evolutiva. Secondo quanto ricordato da uno dei maggiori classici della sociologia attuale (N.Luhmann), con soggettività non si indica una caratteristica innata dell’uomo ma una sua particolare forma che, aggiungo io, si è affermata a partire dalle società post-cinquecentesche, e che considera tale essere al centro dell’universo. A caratterizzarlo sarebbero una particolare prospettiva edonistica del suo modo di vivere; il fatto di ragionare come se lui fosse al centro dell’universo; il fatto di rifiutare troppo spesso qualunque referenza ai valori e/o alla divinità – a seconda della personale impostazione della propria vita – posizione che lo porta, appunto, a quella che viene con termine tecnico chiamata l’autoreferenza; l’egoismo; il narcisismo; ecc. In particolare quello che lo rende diverso dall’uomo delle culture precedenti è il fatto che in lui attore e giudice vengono a coincidere portando così alla costruzione di un essere che si può permettere di piegare opportunisticamente anche i principi, che pure spesso afferma come dovuti ad una sua scelta, ai propri interessi momentanei.

La politica della soggettività diverrebbe, di conseguenza, quella particolare forma di gestione della dimensione sovraindividuale non in contrasto con i criteri organizzativi di quel modello di uomo: in tale prospettiva diverrebbero sacrileghe tutte quelle prospettive che dovessero contrastare con ognuna delle caratteristiche indicate nella seconda delle alternative precedenti.

Di qui, forse, molte delle difficoltà che sembrano caratterizzare l’attuale azione politica o, se si preferisce, le difficoltà legate alla continua attenzione che i politici devono prestare a tutte le diverse pretese di singoli – tra cui essi stessi in quanto portatori di egotismi personali - che non hanno altri interessi se non quelli che vanno a proprio vantaggio (singoli che tirano l’acqua al proprio mulino).

È ciò che viene riassunto nella formula sulla base della quale si dice che l’individuo si trova a vivere in un sistema sociale che deve quindi da lui essere considerato ambiente, ma anche il contrario e cioè che l’individuo può essere ambiente per il sistema sociale. Questa sembrerebbe un’affermazione contradditoria. La nostra è una società che, dal punto di vista tecnologico e culturale, è occidentale. È una delle più forti dal punto di vista scientifico. Però gli appartenenti a questa società mediamente non sembrano particolarmente felici. Aumenta infatti il consumo di psicofarmaci, crescono le angoscie, le crisi di panico, le situazioni di disparità. Grande differenze inoltre si riscontrano tra adulti e giovani.

Se noi individualmente non riusciamo ad incidere sul sistema sociale o su quello politico, perché noi come individui possiamo essere ambiente per il sistema sociale? Che cos’è la soggettività? Noi siamo dei soggetti quando impostiamo la nostra vita in vista degli obiettivi e delle modalità sopra ricordate (l’autorealizzazione, il portare avanti qualche idea, il profitto personale contrapposto a quello comune, ecc.). Molti ragazzi tossicodipendenti, per esempio, si rapportano al nulla, sembrano non avere obiettivi per il loro futuro.

La soggettività, come ricordato, è una forma della costruzione dell’uomo. Secondo voi i romani erano dei soggetti? No. Perché la soggettività nasce nel momento in cui l’uomo riesce a concepire se stesso come autore della propria conoscenza, nel momento in cui si arroga il diritto o l’autorità di non fare riferimento ad altri uomini nella costruzione della propria conoscenza. E ciò avviene con l’invenzione della stampa: l’uomo, per conoscere, non ha più bisogno di nessuno, viene by-passata la comunicazione faccia-faccia. Il singolo diventa individuo, cioè “io” costruisco la mia conoscenza. Siamo dopo il 500 e in questo periodo, cosa curiosa, viene meno il “nominar Dio”, per essere sostituito dal “nominar io”. Nasce così il laicismo.

Nelle società della soggettività, il riferimento all’autorità divina, viene sostituito dalla soggettività come concezione: “io sono l’artefice di me stesso”. Il super-uomo diventa concepibile solo nel momento in cui io costrusco la mia conoscenza. Se un’altra persona non è d’accordo con me, è uno scontro tra me e la persona. Io divento contemporaneamente il criterio di costruzione della conoscenza e il criterio di validazione della conoscenza stessa. Questa purtroppo è un’arma molto potente, forte e bella, materrificante: finchè io ho dei valori, il discorso va, altrimenti…

Le società che erano strutturate sulla religione, vengono strutturate sull’individuo e sulla soggettività. Questo è un capovolgimento enorme. Nella società orale, o comunque non occidentale, lo stare insieme viene considerato autoevidente; in quelle della soggettività, che hanno costruito l’individuo, questo non è più vero. Una rivoluzione in ambito comunicativo ha portato ad una situazione che se all’inizio era evolutivamente forte, in seguito ha portato ad alcuni sconvolgimenti all’interno dei singoli: di qui il titolo del mio testo “Malattie Mediali”. L’individualità improvvisamente si afferma e tutte le costituzioni, l’impostazione giuridica, ecc. vengono improntate alla soggettività, ecco perché l’individuo (il super-uomo) può essere ambiente per il sistema: perché l’organizzazione teorica della soggettività, o dell’individualismo, diventano i criteri di validità dell’organizzazione statutaria e politica. Nel 700-800 nasce il concetto di socialità: la visione collettiva che era automatica nelle società non occidentali viene reintrodotta perché l’uomo purtroppo da solo non serve a nulla, non sopravvive neanche. L’essenza delle nostre difficoltà è che noi, putroppo, essendoci costituiti come soggetti, dobbiamo spiegare a noi stessi e agli altri, che non possiamo fare a meno degli altri. Noi dobbiamo ricostruire quella dimensione collettiva. L’introduzione della stampa, uno strumento di comunicazione (medium) per connettere le persone, ha portato ad un cambiamento di standard comunicativo in seguito al quale sono nati l’individuo e la soggettività, ha disconnesso le persone, ha fatto sì che fossero sole. Il concetto della solitudine sembra non esistere nelle altre culture, e anche se fa arrivare, nel momento in cui uno sidovesse ritrovare solo, alla paura sembra non faccia nascere l’angoscia, come nelle culture della soggettività.

Forse la nuova forma politica è una forma che dovrebbe attaccare la soggettività, dovrebbe smettere di pensare che il vero dèmone sia il consumismo: il consumismo è semplicemente il singolo che decide i suoi valori e decide di applicarli, fa convivere attore e giudice. In questo modo sparisce il futuro, ed è qui il nostro disorientamento politico, e diventa un fattore semplicemente economico: abbiamo delegato la politica all’economia.

Noi dovremmo fare tesoro sia delle culture orali sia della cultura della soggettività. Il vero problema è che non siamo noi a dover decidere come evolverà la nostra società, perché la società evolve da sola.

Quello che era un fattore di progresso, sta diventando un fattore disfunzionale. Le crisi di angoscia, di droga, di disorientamento ci sono perché non c’è più nulla di certo. Bisogna capire dove sta andando la società. La socioterapia nasce proprio per questo. L’uomo della psicologia che sembra essersi rotto, in effetti è quello della soggettività: la sua organizzazione mentale, teorica, culturale interna non lo mette più in condizione di affrontare la nuova società. Per la socioterapia occorre cominciare a pensare che le attuali forme di follia, la pazzia e tutte le forme di panico, sono una reazione corporea a situazioni rispetto alle quali il nostro cervello non sa decidere, non riesce a decodificare o se stesso o l’esterno. Il nostro corpo ci dà un messaggio di malattia, un messaggio che patologizza il nostro corpo.

Forse, di fronte al malessere, all’incapacità di decodifica dell’ambiente la vera dimensione politica, anziché tagliare le gambe e le teste delle persone affinché rientrino nei canoni della soggettività, dovrebbe riuscire a buttare via i vecchi schemi, le nostre teorie per rinnovarle e per farne delle altre che siano più aderenti all’attuale evoluzione della nostra società.

 

 

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