Il FerrarInforma
3/2003
Il pensiero ambientale e la pace
Venerdì 28 febbraio 2003
Prof. Giuseppe Ferrari
Il boom ecologico ha inizio negli anni Sessanta, da quando si inizia a parlare di crisi ecologica. Si diffonde l’ecologismo di massa, un forte movimento pacifista e attento all’ambiente che denuncia gli effetti degli esperimenti nucleari sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente naturale. Si dipingono scenari di apocalisse nucleare e si collegano gli effetti della guerra nucleare con gli effetti ambientali. Questo dibattito esce dalle aule universitarie per diventare materia di discussione tra l’opinione pubblica.
Testo di riferimento dei primi passi del movimento ecologista è Primavera silenziosa di Richard Carson, del 1962, che denuncia gli effetti del diserbante pesticida ddt sull’uomo, che però rimarrà utilizzato in agricoltura fino al 1976.
Si diffonde più in generale l’idea della necessità di diminuire il proprio impatto ambientale, pena la catastrofe ecologica.
Iniziano a moltiplicarsi i punti di convergenza tra il pensiero ecologico e i principi di non violenza di ispirazione ghandiana. Tanti nel movimento ecologico si richiamano alla tradizione di pensiero non violento di Ghandi, oppure sviluppano elaborazioni autonome ed originali come nel caso del pacifista italiano Aldo Capitini.
Negli anni ’70 si sviluppa nel mondo statunitense ed australiano la deep ecology che si ispira al pensiero di Erne Ness. L’uomo è profondamente immerso nella natura, l’identità stessa dell’uomo va estesa ed allargata fino a ricomprendere anche la natura circostante, che non appartiene all’uomo ma di cui l’uomo è parte: in questo gli ecologisti profondi si ispirano anche alle idee romantiche e alle tradizioni religiose e spirituali di derivazione orientale. Si instaura un processo di identificazione empatica con il mondo della natura, le rocce, i fiumi, gli animali... La non violenza nei riguardi della natura vale anche per se stessi e per gli altri esseri viventi, compreso l’uomo.
La deep ecology critica l’approccio riformista della crisi ecologica, che tende ad accettare le conquiste della tecnologia moderna. Chiamare la tecnica a riparare i guasti originati dalla tecnica è un po’ come chiamare il diavolo a fare l’esorcista.
In seguito la contestazione nei confronti della deep ecology viene rivolta da chi rivendica il diritto allo sviluppo economico, inteso non semplicemente come crescita economica ma in senso più ampio, con particolare riferimento alla situazione dei paesi in via di sviluppo.
A partire dal rapporto Bruntland del 1987 delle Nazioni Unite si fanno strada i principi dello sviluppo sostenibile. Sostenibile è quello sviluppo che soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
Tutti i grandi meeting internazionali da allora fino ai giorni nostri si situano nel solco della sostenibilità.
Si inizia inoltre a parlare di tutela della biodiversità, tema che esce dalla stretta cerchia dei biologi negli anni ’90 e viene ufficialmente introdotto nell’agenda internazionale al vertice di Rio sullo sviluppo sostenibile del 1992. Occorre tutelare la biodiversità in agricoltura tanto quanto la diversità culturale nel genere umano. Quasi tutti i paesi del mondo sottoscrivono la convenzione a tutela della biodiversità, ad eccezione degli stati Uniti che la ritengono poco garantista nei confronti della aziende legate alle biotecnologie.
Eppure nonostante questo si moltiplicano i danni irreparabili: ad esempio, oltre trentamila varietà di riso legate a contesti sociali ed ecologici locali sono state spazzate via dalle procedue standardizzate della rivoluzione verde che prevedono l’introduzione dei semi geneticamente modificati prodotti in laboratorio da aziende che ne hanno il brevetto e che li rendono sterili per creare dipendenza perpetua in agricoltura dei loro prodotti.